LUCE, AMORE E SPERANZA


La Luce è la figlia primogenita e la prima emanazione del Supremo e la Luce è vita, dicono l’Evangelista e il Cabalista. Entrambe sono elettricità – il principio vitale, l’Anima Mundi – che pervade l’universo, il vivificatore elettrico di tutte le cose. La Luce è il grande mago proteiforme e sotto la divina Volontà dell’Architetto, o piuttosto degli architetti – i “costruttori”, chiamati collettivamente Uno – le sue onde multiformi e onnipotenti danno origine a tutte le forme come a tutti gli esseri viventi. Dal gonfiarsi del suo grembo elettrico nascono materia e spirito. Nei suoi raggi si trova l’origine di tutte le azioni fisiche e chimiche e di tutti i fenomeni cosmici e spirituali; essa vitalizza e disorganizza; dà la vita e reca la morte e dal suo punto primordiale emergono gradualmente in esistenza le miriadi di mondi, corpi celesti visibili e invisibili.

La Dottrina Segreta, vol. III, pp. 151–152

 Il mantra metafisico “la Luce è Vita ed entrambe sono elettricità” suggerisce una profonda intuizione che si realizza solo ai livelli più elevati di meditazione. In un mondo di nomi, forme e colori svuota la mente di tutti gli oggetti e soggetti, di tutti i contrasti e contorni e potrai immergerti nell’assoluta Oscurità Divina. Una volta in questo regno del puro potenziale, potrai cogliere il noumeno nascosto della materia, quella sostanza ultima o substrato primordiale che è la somma totale di tutti i possibili oggetti di percezione da parte di tutti gli esseri possibili. Allo stesso tempo potrai percepire lo Spirito come la totalità di tutte le possibili espressioni, manifestazioni e radiazioni di divina e centrale energia, o Luce. In quell’Oscurità Divina – il regno del potenziale illimitato in cui non esiste alcuna cosa – l’amore è come la Luce nascosta nell’Oscurità. Quella Luce è l’origine di tutto ciò che è latente, di tutto ciò che emergerà e perdurerà, che si allontanerà dalla forma e tuttavia rimarrà come raggi immacolati.

 Questo regno primordiale di Luce potenziale e Vita potenziale è anche il regno dell’energia potenziale. In questo regno pregenetico, in cui non c’è manifestazione, si può percepire un’energia totalmente potenziale che non produce alcuna interazione tra lo Spirito latente e la materia noumenica. Questa non è elettricità in alcun senso manifesto né una forza che possa essere interpretata nei termini del linguaggio ordinario o della percezione del senso comune; è una corrente primordiale. Perfino le concezioni più astratte della scienza pura non possono raggiungere questo regno, in cui c’è una vibrazione elettrica cosmica così fondamentale e onnicomprensiva che non può essere localizzata o contraddistinta in alcun modo particolare. Da questa Oscurità Divina – da questa Luce potenziale, Vita latente ed energia nascosta – promana un divenire in manifestazione. C’è un processo di irradiazione ed emanazione nel quale si liberano innumerevoli scintille. C’è una coalescenza tra il raggio primordiale iniziale di energia–luce e le correnti vitali latenti che sprigionano pulsazioni, radiazioni e correnti che fluiscono in ogni direzione.

 La Gupta Vidya afferma che, in questa fase del cosmo nascente, sono presenti grandi esseri, grandi menti e cuori, grandi anime perfezionate in precedenti periodi di evoluzione. Restando svegli durante la lunga notte della non–manifestazione – ma non avendo alcun particolare oggetto di riferimento e nessuna concezione particolare nello stato di Mahapralaya – essi dimorarono in uno stato di contemplazione vigile, incessante e armoniosa di tutto ciò che era potenziale. Questi esseri emergono con il fiorire della Luce e della Vita primordiali, il riverbero primordiale dell’energia divina attraverso l’essenza vitrea dello spazio. Diventano lo strumento di focalizzazione in quella che poi viene conosciuta come Mente Universale o Mahat. Diventano la lente vivente attraverso la quale tutto ciò che è latente nella notte della non–manifestazione viene mescolato alla vita attiva. Questi esseri perfezionati, in seguito mitizzati in tutte le religioni del mondo come Dhyani Buddha, Arcangeli, Signori della Luce, diventano agenti consapevoli per la direzione e la focalizzazione, in un mondo emergente, di parcellizzazioni primarie di un’essenza altrimenti universale, puramente potenziale e del tutto omogenea. Ai fini della meditazione si può pensare che emettano raggi colorati e suoni di scale musicali trascendentali. Di conseguenza si può pensarli come appartenenti a sette classi, ciascuna corrispondente a una nota subliminale o a un colore. Ciascuno di essi corrisponde a un numero o grado di differenziazione particolare, e tutti lavorano all’unisono. Possono essere immaginati come aventi le proprie note, colori e numeri differenziati, ma anche come unione e sintetizzazione delle molteplici potenze del Logos manifestato. In quello stato ontogeneticamente anteriore, appena prima della manifestazione, c’è uno straordinario campo sottile, un’energia elettrica precosmica, a volte chiamata Daiviprakriti, la Luce noumenica del Logos.

 Nel mondo della manifestazione visibile i fenomeni identificati come elettricità e magnetismo, luce e calore, sono effetti osservabili di questa radiazione Logoica primaria. Sono giganteschi e titanici, ma in realtà non sono altro che ombre di materia soprasensibile in movimento su un piano noumenico precedente al regno dei fenomeni. Lo studio della luce–energia in manifestazione coinvolge curve e relazioni complesse e richiede l’uso di molte categorie e strumenti. Questo è il regno della diffrazione e della diffusione, della riflessione e della rifrazione, in cui esistono possibilità complesse dovute all’interferenza e alla sovrapposizione di onde su onde di energia luminosa. Allo stesso tempo è il regno dei fotoni, particelle di energia luminosa che viaggiano a una velocità incredibile, tale che la luce della luna arriva alla terra in un secondo. La nozione di luce come entità complessa, sebbene virtualmente istantanea, che ha un impatto a ogni livello del cosmo, smuove il cuore molto prima di essere veramente compresa dalla mente. Il cuore capisce il significato vitale della vita perché risuona con ciò che è primordiale, onnipervasivo e istantaneo. Dentro ogni cuore umano arde un fuoco di luce–saggezza e amore–compassione, Prajna e Mahakaruna. Questa scintilla dell’Unico Fuoco all’inizio balena in modo intermittente nel neofita, ma può diventare una potente fiamma che brucia vigorosamente, stabilmente e incessantemente. Nella sua pienezza dirige e guida gli individui all’applicazione estesa e saggia dell’illimitata energia che fluisce all’interno del cuore spirituale dagli incommensurabili amore–compassione e luce–saggezza. Il cuore monadico di ogni essere umano è uno specchio esatto del cuore del cosmo, il rigonfio grembo elettrico da cui emerge il duplice flusso di spirito–materia.

 Il Sesto Principio nell’Uomo (Buddhi, l’Anima Divina), benché nella nostra concezione sia un semplice alito, è qualcosa di materiale se paragonato con lo Spirito Divino (Atma) del quale è il portatore o veicolo. Fohat, nella sua capacità di AMORE DIVINO (Eros), il Potere elettrico dell’affinità e dell’empatia, è presentato allegoricamente mentre cerca di unire il puro Spirito, il Raggio inseparabile dall’Uno Assoluto, all’Anima; l’unione di questi costituisce nell’uomo la MONADE, e nella Natura il primo legame fra l’eternamente incondizionato e il manifestato.

La Dottrina Segreta, vol. I, p. 155

 La presenza nel cuore segreto di questa Luce, Fuoco e Fiamma divini significa che ogni essere umano è capace di vedere e illuminare una sfera dell’esistenza molto più vasta di quella che lui o lei sono tipicamente pronti ad “abitare” coscientemente. Analogamente, ogni singolo essere umano ha una capacità di amare senza sforzo molto più ricca e profonda di quanto immagini, di manifestare un amore spontaneo e disinteressato che non chiede a ed è disposto a dare a tutti liberamente, con benevolenza e generosità. Eppure poco di quell’immenso amore e di quella energia–luce ha la possibilità di emergere in un mondo di maschere e ombre, un mondo di bugie, paure e solitudine individuale. Questa è la situazione dell’umanità. Questa stessa umanità orfana, che ha appena cominciato ad attingere a una minuscola frazione del suo insondabile potenziale illimitato, può tuttavia fare questo se cerca di sostenere una concezione dell’esistenza che va al di là di tutte le divisioni e dicotomie abituali. Bisogna trascendere le distinzioni come giovinezza e vecchiaia, i ruoli sociali e le etichette esterne. Anche se la mente è diventata offuscata e il cuore contaminato, bisogna disimparare tutte le abitudini opprimenti e riuscire a ritirare la mente e il cuore da alleanze false e fugaci. Solo così si può restituire plasticità e resilienza alla mente e al cuore.

 In società diverse, in momenti differenti della storia documentata, i ricercatori hanno tentato di raccogliere questa sfida sottoponendosi a una disciplina monastica sistematica, di aiutarsi gli uni con gli altri e di vincolarsi con regole, voti e promesse scelti da sé e inflessibili. Attraverso un ripetuto rafforzamento di queste risoluzioni fondamentali hanno cercato di sviluppare uno stile di vita volto all’autorigenerazione spirituale. Eppure, nonostante ciò, più e più volte nella storia queste istituzioni monastiche, pur essendo fiorite per un certo periodo, invariabilmente sono degenerate. L’impulso vitale usciva da loro ma le persone venivano prese solo dall’imitazione, in un vacuo mimetismo dei rituali. La lezione di questo schema che si ripete è che non c’è quantità di irreggimentazione esteriore che possa funzionare a meno che non sia abbinata, interiormente, a sufficienti concentrazione e continuità di ideazione attraverso la meditazione. Non si può costringere un’altra persona a dedicarsi alla meditazione. Un essere umano deve provare un desiderio di fare ciò che deve essere fatto sufficientemente forte da permettergli di vedere oltre la messinscena di quello che è falso e ingannevole in questo mondo.

 Ogni essere umano deve giungere individualmente a una profonda riflessione sul significato della morte e sul suo legame con il momento della nascita. E ciascuno, da solo, deve prendere una decisione che gli permetta di iniziare una serie di pratiche spirituali liberamente scelte. Questi esercizi di tanto in tanto si riveleranno estremamente faticosi e potranno essere sostenuti solo dallo slancio di un’enorme motivazione. Come hanno insegnato tutti i più grandi benefattori dell’umanità, per il bene del tutto dobbiamo essere pronti a rinunciare a ogni cosa. Non ci si può mantenere sulla Via spirituale se non si è portatori di una motivazione universale, radicata nell’amore per tutta l’umanità. Buttarsi a capofitto nella pretesa di amare tutta l’umanità può essere fatale. Invece, anche se ci vorrà del tempo, ci si dovrebbe soffermare ancora e ancora sulla natura sublime e straordinaria di quella motivazione fondamentale e onnicomprensiva che è rappresentata dal Giuramento della Kwan–Yin e dal Voto del Bodhisattva. Solo attraverso quella motivazione, autenticamente diffusa e mantenuta intatta, può esserci un risveglio della scintilla di bodhicitta.

 Dall’anima imperitura scaturisce l’amore salvifico della parte per il tutto. È di origine immortale e nell’individuo è la parte universale ed eterna. Dietro tutte le modificazioni e manifestazioni di prakriti c’è Purusha – lo Spirito unico, universale e indivisibile, conosciuto con molti nomi. È indistruttibile, senza inizio e senza fine. È esso stesso un riflesso incontaminato dell’essenza stessa dell’Oscurità Divina. Dentro ogni anima umana il potere dell’amore è la scintilla o raggio di questo Spirito. Può illuminare la mente e rischiarare il cuore fintantoché siamo pronti a rinunciare a tutto, disposti a essere soli e [impegnati] con tutto il cuore, in modo risoluto e concentrato. Allora quell’amore diventa una forma di saggezza, un raggio di luce che nell’ora del bisogno assicura che c’è speranza nell’oscurità apparente e nella sventura. Ci dice dove andare e cosa fare, consiglia se rimanere ad aspettare. Ci dà un’immensa pazienza mentre riconosciamo quelle tendenze che ostacolano il rilascio dell’energia spirituale. Nella natura inferiore c’è quella propensione a carpire e afferrare, che è allo stesso tempo insicura e volubile, incerta di sé e desiderosa di qualcosa dall’esterno. Se si vuole liberare il lato più forte bisogna imparare ad aspettare, ad abbandonare e a logorare quel lato di sé che è il più debole.

 Nel frattempo, prima di essere in grado di rilasciare la vera forza del cuore e mentre si è ancora nella morsa di ciò che è più debole, si può imparare, si possono scoprire gli schemi, le instabilità e le vulnerabilità della propria natura. Questo processo di apprendimento diagnostico, tuttavia, non può realizzarsi a meno che non sia bilanciato da una profonda adorazione di quei Dhyani Buddha che sostengono il cosmo. Si devono collocare intenzionalmente la mente e il cuore all’interno del campo magnetico di attrazione delle ideali, potenti Schiere di Dhyani e Bodhisattva. Li possiamo pensare come galassie di esseri illuminati, forze cosmiche fatte viventi nella Natura invisibile e, allo stesso tempo, fulgidi esemplari per l’umanità nel mondo visibile. Sentendone parlare e studiando i testi sacri e le nobili tradizioni che hanno preservato i loro Insegnamenti si può cominciare ad assimilarne il modo di vivere. Così si può imparare a vivere in uno stato di apprendimento e a lasciar andare – imparando gioiosamente ed energicamente mentre allo stesso tempo lentamente si lascia andare il sé volubile, pauroso e furtivo. Dopo un certo punto non si potrà nemmeno concepire di vivere in un altro modo. In questo si trova una profonda soddisfazione e, di conseguenza, si è in grado di guardare al mondo non come un ricevente ma come un donatore. Nella solitudine della propria contemplazione si penserà naturalmente ai cuori affamati e alle anime trascurate che si può cercare di raggiungere con un ardente desiderio del cuore e con un intenso pensiero.

 Agendo in favore dei diseredati del mondo si può diventare messaggeri di speranza per gli altri. In periodi bui di dubbio e disperazione tutti hanno avuto l’esperienza di ricevere un improvviso lampo luminoso di ispirazione e speranza. La gratitudine per questa luce misteriosamente ricevuta può diventare la base di una fede e di una fiducia che possono giovare ad altre persone. Se nella nostra solitudine individuale continuiamo a pensare a tutti gli esseri in difficoltà, degni tuttavia della nostra compassione, possiamo raggiungerli nel loro sonno profondo e nei loro sogni. Attraverso la forza di quello che George William Russell ha chiamato “l’Eroe nell’uomo” si può infondere quella speranza o grazia salvifica che li sosterrà, qualunque sia la loro condizione. Così si formano legami magnetici invisibili con altri esseri umani, canali di trasmissione che possono muoversi in ogni direzione. Fare questo significa andare oltre ogni concezione di salvezza o progresso individuale basata su una nozione personalizzata e localizzata di amore o luce. Si impara a muoversi verso il sole in modo che la propria ombra diminuisca, si comincia a capire che cosa significhi stare direttamente sotto il sole e non proiettare ombra. Liberandosi dalla preoccupazione per se stessi, si diventa veramente fiduciosi nella propria capacità di raggiungere e aiutare gli esseri umani, non importa a quale distanza. Lasciando andare tutte le etichette esteriori, i segni e le pseudo–prove di amore e luce, si è pronti a crogiolarsi, per così dire, nella luce e nella verità celesti, quella saggezza e quella compassione illimitate del Sole Spirituale.

 L’ingresso in questa luce non è da intendersi solo in termini di metafora mistica. È anche legato alla presenza di esseri reali diventati Bodhisattva della Compassione, raggi che fluiscono da un’energia cosmica come Avalokiteshvara. Come il signore che guarda dall’alto, Avalokiteshvara può essere immaginato seduto in totale calma e contemplazione, avvolto in uno straordinario alone dorato di perfetta purezza e amore. Con il suo sguardo accudente segue tutta l’umanità. Meditare su questo paradigma di tutti i Tathagata e Predecessori, Buddha e Bodhisattva significa ripristinare il proprio senso dell’abbondanza ontologica del regno spirituale. Così si possono trascendere le concezioni limitanti della storia evolutiva dell’umanità o la falsa nozione che la spiritualità umana dipenda interamente da eventi avvenuti nel passato. Invece si arriverà a conoscere l’umanità come estremamente antica, esistita per milioni e milioni di anni e sostenuta in una miriade di modi da innumerevoli salvatori, aiutanti e insegnanti. Molti di loro erano umili viandanti, che giravano per i villaggi senza segni di riconoscimento, senza etichette e che non rivendicavano alcun diritto; tuttavia hanno aiutato ed elevato il cuore umano, dando speranza agli altri, per poi proseguire. Le loro vite sono una testimonianza vivente e costante dell’onnipresente forza e presenza sulla terra della Tribù degli Eroi Sacri.

 Innalzare lo sguardo su questa prospettiva straordinariamente universale significa cominciare a vedere che molte domande un tempo difficili non sono più tali. Non appena si pensa all’amore in modo separativo o in termini di dualità, lo si fa con un’intenzione ben definita, manifestando i concetti della volontà. Questa volontà concretizzata è legata alla dimostrazione di qualcosa, alla determinazione in un contesto, soprattutto attraverso il verbalizzare e l’agire. Mentre, se si pensa in termini di vaste schiere collettive di esseri che uniscono tutta l’umanità attraverso legami invisibili, ci si avvicina a un’idea di volontà come forza universale e impersonale. Inserendo se stessi nella fratellanza invisibile dei veri aiutanti dell’umanità si può imparare a compiere ciò che si è in grado di fare, secondo la misura, il grado e la profondità della propria conoscenza e del proprio sentire, senza generare alcuna falsa concezione della volontà.

 In qualunque cosa facciamo e in qualunque modo liberiamo la volontà superiore stiamo semplicemente attingendo una certa porzione da una fonte inesauribile e universale. Se si comprende questo, non si chiederà di trarne più di quanto si possa effettivamente utilizzare o sostenere adeguatamente. In altre parole, si comincerà a vedere oltre i trucchi della mente umana, che è la grande ingannatrice e l’avversaria nell’uomo, quando cerca di sfuggire ai suoi compiti chiedendo di più. Quando la mente insiste che deve sapere se la sua quota di amore e luce è adeguata in relazione al suo scopo o alla sua autoconcezione, essa diventa la grande ingannatrice e oscuratrice della luce e dell’amore che sono latenti in ogni anima umana. Molte presunte domande filosofiche e preoccupazioni spirituali non sono altro che ciò che i buddhisti chiamano attavada, la terribile eresia della separazione. Esse riflettono l’errore filosofico di presumere che tutte le proprie tendenze, desideri e pensieri costituiscano una sorta di entità coesa e persistente e, soprattutto, tagliata fuori dal resto dell’umanità. Questa è un’illusione. Non esiste una tale entità. Nessun vero senso di individualità può essere riconosciuto in questo aggregato di tendenze caotiche in continua evoluzione e di seconda mano.

 Invece, questo aggregato di skandha rappresenta la parte karmica di ciascuno di noi nell’accumulazione collettiva di tendenze di tutta l’umanità. Tutti gli esseri umani, si potrebbe dire, hanno contribuito alla crescita delle erbacce e ognuno ha la sua parte da prendere ed estirpare. Allo stesso tempo ogni essere umano deve trovare e piantare i semi della saggezza e della compassione. Questo può essere fatto solo coltivando la pazienza e il potere dell’attesa, radicati nella volontà di lavorare con i cicli della Natura. Come insegna il profeta nell’Ecclesiaste, ci sono diverse stagioni, tempi per seminare e tempi per raccogliere, tempi per vivere e tempi per morire. Questo è vero per tutte le manifestazioni dell’amore e i più saggi sanno che l’amore più profondo è al di là della manifestazione. Come ha scritto Maeterlinck ci sono silenzi d’amore di tale profondità che l’inespresso scorre con continuità ininterrotta attraverso le barriere del tempo e dello spazio. Questo amore più profondo ci sfugge quando ci preoccupiamo di ciò che può essere dimostrato, accresciuto, mitigato o comparato. Per recuperare il potenziale perduto dell’anima bisogna ripensare a ciò che è reale. Da un lato troviamo quel che è universale e include tutto ciò che è potenziale, dall’altro l’intera raccolta di espressioni e manifestazioni particolari, episodiche, finite. Per quanto questa sia vasta, alla fine è limitata, se confrontata con il contenuto inesauribile dell’amore e della luce nell’anima immortale di ogni essere umano e nel cuore dell’intero cosmo.

 Imparando a pensare in questo modo si può cominciare a discernere un’immensa bellezza nell’idea che ogni essere umano è, nel semplice atto del respiro, vivo e amorevole. La maggior parte di ciò è inconscio o non correlato a desideri o richieste particolari. Ma nel caso degli esseri più saggi, dei maestri di compassione più illuminati, questo respiro è consapevolmente benevolo e universale. Diventati coscienti dell’enorme energia potenziale all’interno del cuore del cosmo, essi sono in grado di dirigere e incanalare abilmente quell’energia verso un vasto numero di anime. Hanno imparato ad aiutare determinate persone in momenti particolari solo attraverso vite di tentativi ed errori. Hanno riconosciuto le proliferanti conseguenze del fare troppo o non abbastanza. Attraverso la pratica, nel corso di milioni di anni e miriadi di vite, i Bodhisattva diventano intelligenti e abili nell’applicazione della saggezza e della compassione, della luce e dell’amore.

 Per poter anche solo comprendere queste possibilità in tali esseri, e ancor di più per potersi muovere in quella direzione, bisogna scrollarsi di dosso le divisioni convenzionali tra testa e cuore. Spesso si presume che per la mente sia una gran cosa diventare più acuta, più sveglia e più intelligente. Convenzionalmente invece si pensa al cuore come sentimentale. Entrambe queste convinzioni si basano su idee sbagliate. Nei rivestimenti sottili degli esseri umani, in quello che viene chiamato il cuore spirituale, sta la base dell’intelligenza, dell’ideazione e della creatività più elevate. Pertanto, dal punto di vista spirituale, non si può attivare nessuno dei centri superiori del cervello se prima non si è accesa una scintilla di fuoco nel cuore spirituale. Molti esseri umani sono in grado, sporadicamente, di sprigionare poteri, abilità e lampi di genio straordinari. Queste abilità discontinue rappresentano una condizione sbilanciata che riflette eccessi e carenze delle vite precedenti. Sono accompagnate da una frustrazione karmica per non essere in grado di attingere e recuperare la conoscenza consapevolmente e hanno lezioni difficili da imparare prima di poter creare nuovi e migliori equilibri dentro di sé.

 Da qui l’importanza, specialmente con i bambini, di non enfatizzare troppo la mente e di sviluppare invece il senso del cuore. Anziché promuovere un’inclinazione ossessiva a valutare la mente, si dovrebbe incoraggiare un concetto, in continua evoluzione, di eccellenza in relazione al cuore. Questo non avviene automaticamente; a meno che non si diventi impavidi e coraggiosi, non si possono rilasciare nel cuore la potenza e la forza spirituale. Bisogna educarlo alla migliore verità che si conosce. Questa include la mortalità del proprio corpo, l’immortalità dell’anima e i mezzi per far funzionare quell’anima immortale all’interno di un corpo mortale. È fondamentale trasmettere ai bambini alcune delle verità basilari della Divina Sapienza e, in particolare, insegnare loro non solo a guardare le cose nei termini di oggi e di domani, ma piuttosto nei termini dei loro migliori impulsi e dei loro più generosi istinti. Nel corso di una vita di apprendimento, questi possono fornire la base di un’autentica assenza di paura e di una vera universalità nella compassione e nell’amore. Bisogna includere nel proprio cuore altre persone, che non vediamo. Per fare questo è necessaria un’immaginazione attiva, fondamentalmente una capacità di visualizzare l’intera umanità. Ciò comporta un equilibrio dinamico tra la contemplazione individuale di tutti gli esseri che esistono su questa terra e le relazioni personali con coloro che ci sono vicini.

 In pratica ciò richiede semplificazione e uno sviluppo della precisione, che è all’origine di ogni etichetta e costume. Bisogna imparare a non esagerare con le persone che sono intorno a noi. Fare di meno è fare di più. Si avrà così una grande opportunità per mantenersi integri, senza entrare in stati di aspettativa esagerata e di rapida disillusione. Pur mantenendo una maggiore stabilità nelle relazioni con coloro che ci circondano, allo stesso tempo si vedrà al di là di esse, sviluppando la sollecitudine a prendere il proprio posto nella famiglia dell’uomo e a diventare quello che nella tradizione buddhista viene chiamato figlio della famiglia del Buddha. Come i Bodhisattva e i Buddha, si diventa disposti a pensare in termini di servizio a tutti gli esseri sulla terra. Questo non è qualcosa che si può contemplare o emulare in breve tempo, richiederà ripetuti rinnovamenti. Avrà un certo impatto al momento della morte e anche un effetto distinto sul tipo di nascita che si avrà nella prossima vita. Non immediatamente, ma col tempo, esso cambierà la corrente e il tropismo, la tonalità e la colorazione dei vari rapporti con i rivestimenti e il loro uso.

 Guadagnando questa precisione si diventerà più liberi e, allo stesso tempo, maggiormente in grado di aiutare gli altri esseri umani. La mente diventa più disponibile, vibrante e versatile, una servitrice obbediente di un cuore che ha trovato una pace profonda dentro di sé. Una volta che il cuore ha scoperto in sé il proprio fuoco segreto può attivarlo attraverso varie forme di meditazione e oblazione quotidiana. Che lo si chiami il fuoco della devozione, di tapas, della saggezza o della verità, questi sono tutti aspetti diversi di ciò che in definitiva è il fuoco dei Misteri, il fuoco che rappresenta l’immortale sovranità autosussistente dell’anima umana individuale. In linea di principio esso è capace di divenire uno specchio autocosciente dell’intero cosmo, capace anche di uscire dall’interno del santuario più intimo e di influenzare, imparare, istruire e aiutare tutto ciò che esiste. Ciò richiede una preparazione mirata e sistematica a causa dei diversi tipi, velocità e livelli di comunicazione tra gli esseri basati sulle vibrazioni del regno del cuore. Più si diventa abili nell’usare le opportunità karmiche all’interno delle limitate modalità di amare e apprendere, caratteristiche di questo mondo, più si impara a far luce, su poche cose, per pochi esseri umani mentre, allo stesso tempo, si guarda incessantemente oltre il proprio orizzonte, verso il potenziale illimitato insito in tutti.

 Alla fine si può raggiungere un punto in cui si ha il grande privilegio di non vedere più il male e le limitazioni, perché hanno perso il loro fascino. In realtà non sono altro che una rappresentazione grottesca di confusione, errori e abbagli, basata sulla prigionia data dall’illusione. Sono futili e miopi, hanno vita breve. Ma finché, in così tanti esseri, ci sono elementi che riguardano considerazioni a breve termine, il male e le limitazioni peggiorano. Mentre all’inizio possono sembrare un incredibile mostro onnipotente, in seguito si comprende che ciò non è vero. Questa è una forma di protezione per coloro che sono sul Sentiero e si occupano del vero lavoro della razza umana. Tale lavoro è continuo, sebbene nascosto da un flusso di invisibilità, perché la maggior parte delle persone è semplicemente catturata dalle immagini e dai suoni esterni della realtà. Essa è prigioniera delle esagerazioni della forma, della limitazione e del male. Da qui l’importanza, a livello individuale, che ogni essere umano dica, come Gesù: “Vattene da me, Satana”. Non si può dire questo per gli altri; bisogna farlo ognuno per se stesso.

 Finché c’è luce, ci sarà ombra. Eppure ogni essere umano può in qualsiasi momento distogliere il viso dall’ombra e volgersi verso la luce del sole. Ogni volta che si è con altre anime, ci si può chiedere: “Amo gli altri più di me stesso? Prendo meno e do di più agli altri? Vado davvero dentro me stesso, nella mia mente e nel mio cuore e, anche nelle mie azioni, vado veramente incontro agli altri esseri umani? Nel modo in cui li guardo, posso salutare il Divino dentro di loro? Posso illuminare ed essere anche grato per la luce che ricevo quotidianamente dagli altri?”. Attraverso domande di questo tipo scopriamo che qualsiasi grado di cambiamento diviene significativo. La vita allora non è solo degna di essere vissuta, ma anche di essere consacrata. La mente e il cuore riconquistano l’immanenza dell’ideale dell’Amore e della Luce sconfinati.

Raghavan Iyer
Hermes, marzo 1985