ETERNO E IMMORTALE


Dopo aver impugnato, come fosse un arco, la grandiosa arma dell’Insegnamento Segreto, è bene incoccarvi la freccia che la Meditazione costante ha affilato. Tendi l’arco con la mente piena di Brahman e centra, o giovane illuminato, quel Bersaglio Immutabile.

 L’arco è il pranava (AUM); la freccia è il sé; si dice che il bersaglio sia Brahman. Devi trafiggerlo con estrema attenzione e fonderti ad Esso in un tutt’uno, come la freccia dentro al bersaglio.

Mundaka Upanishad

 Eterno e immortale, l’impulso intricato raggiunge il suo scopo.

Rupert Brooke

 Per far propria la pratica quotidiana della meditazione si deve conoscere a fondo la Scienza della Spiritualità, alla quale può accostarsi chiunque aspiri all’onesta ricerca della verità senza tempo. Da una parte, tutti gli esseri umani sono fatti della stessa sostanza di ciò che di sublime vi è nel cosmo, dall’altra, il flusso incessante di atomi che emana dai loro corpi li pone in interazione costante con tutto ciò che esiste. Questa compartecipazione duale, sia con ciò che si trova nel flusso del tempo, che con ciò che è al di là di esso, è di fondamentale importanza per il tentativo che ogni persona compie di innalzare le proprie percezioni, di mettere in moto il potere del risveglio spirituale e di superare tutte le categorie, comprese quelle derivanti dalle ideazioni più raffinate dell’intelletto. E, ogni volta che compie tale tentativo, una persona non è nella stessa posizione in cui si trova in ogni altro momento. Proprio a causa della costante interazione degli atomi vitali, nessuno è del tutto separato dai singoli sé di ogni altro essere umano, e l’anima di ognuno partecipa, sia per principio sia in pratica, a tutte le condizioni di esistenza di tutti gli esseri che sono in vita in questo momento o che hanno avuto un corpo su questa Terra. Il sé, l'essenza del nucleo intimo dell’essere, è infatti inseparabile sia dal Sé del tutto assoluto sia dal Sé presente in ogni singola cosa.

 Guardando tutto da questa vastissima prospettiva universale, si può ben vedere che buona parte dei pensieri ordinari, anche quelli riguardanti la vita spirituale, non è ben centrata, ma è ciò che gli Indiani Hopi definiscono koyaanisqatsi, ovvero sbilanciata, vacillante e fortemente bisognosa di un riequilibrio radicale. Questo è dovuto alla grande attenzione che prestiamo a quella parte minuscola di noi che è legata alle preoccupazioni e alle sensazioni presenti, alle emozioni passeggere e ai desideri. A causa degli obiettivi circoscritti e limitati che perseguono gli individui, hanno di loro stessi una concezione estremamente limitata, frammentata e distorta. Quando si mette in relazione questo fatto con la tendenza endemica di ognuno a costruirsi una personalità artefatta, costituita da abitudini, desideri, ricordi e paure, si comprende che per l’anima immortale buona parte della cosiddetta vita umana non è altro che una penosa delusione. Cionondimeno, mentre è chiaro che ogni essere umano deve vivere nel mondo a vantaggio della propria crescita spirituale – poiché non può esservi crescita senza partecipazione – non è detto che egli debba necessariamente perdersi. Ognuno deve in qualche modo fare esperienza del mondo dell’illusione, rimanendo nel turbine del cambiamento, e quindi nel regno dei pensieri, delle emozioni e dei desideri in continuo conflitto e mutamento. Tuttavia questo non ne altera la condizione fondamentale, ovvero quella di essere perpetuamente radicato in Ciò che è oltre il tempo e oltre i mondi.

 Nelle Upanishad questo paradosso è rappresentato dalla metafora dei due uccelli sull’albero, dove il primo è intento a becchettarne i frutti, mentre il secondo osserva serenamente l’altro da una posizione più alta. Il vero Sé di ognuno di noi è spettatore dell’eternità, poiché osserva tutto da un punto di vista universale ed eterno, rimanendo impassibile di fronte alle ideazioni della mente e imperturbato dalle emozioni mutevoli. Esso è testimone della prigionia subita dall’altro uccello nel mondo delle illusioni, il quale rappresenta una mente coinvolta e frammentata, a turno passiva e assertiva, terrorizzata e aggressiva, avida e affannata. Una volta che all’interno del nostro essere si sia riconosciuta l’esistenza di un nucleo più profondo che non viene coinvolto dal mondo del tempo, del cambiamento e della reazione, ma che è in grado di riflettere sulla totalità di ciò che accade a livello delle proprie vestigia inferiori, allora si comincerà a riconoscere in se stessi un principio di trascendenza e una base certa su cui erigere la propria aspirazione.

 Il divario tra queste due prospettive non è incolmabile. Quanto più l’uccello avviluppato dalle illusioni saprà essere potenzialmente consapevole dell’altro, che costituisce il suo vero Sé, tanto più determinante sarà la sua capacità di relativizzare il proprio piano di percezione. La Scienza della Spiritualità, fondata sull’ontologia dell’idealismo oggettivo, ritiene che tutto ciò che esiste nell’universo sia il frutto di una ideazione. Tutte le forme, a qualsiasi livello, sono alla radice espressioni o manifestazioni di idee pure. Ne conseguono due importanti considerazioni: innanzitutto, attraverso le idee tutti i mondi si compenetrano; secondariamente, ogni essere umano ha il potere di prendere le distanze dal sé [inferiore, N.d.T.]. Attraverso il processo di ideazione è possibile, infatti, astrarsi dall’apparente prigionia in cui ci troviamo nel mondo e, invece di farlo involontariamente attraverso il sonno o la morte o in modo intermittente attraverso l’estasi emotiva o intellettuale, si può imparare a farlo in maniera cosciente, costruttiva e come forma di disciplina spirituale.

 Se si è in grado di concepire tutto ciò, non meramente in relazione a contesti specifici e situazioni particolari ma a tutta l’esistenza manifestata e all’intera sfera dei fenomeni oggettivi, ci si renderà conto che l’illusione è connaturata al mondo manifestato in sé e che la sua realtà relativa non è altro che il risultato della partecipazione del Sé superiore al processo di ideazione in quel mondo, ovvero del suo essere coinvolto in un processo di ideazione di natura inferiore. In altre parole, sebbene sia utile la metafora dei due uccelli che rappresentano i due sé, in realtà non siamo altro che un unico essere dotato del potere di ideare. Il concetto che il processo di ideazione avvenga su una scala, che a un estremo ha l’assoluto e l’astratto e all’altro ha il particolare e il concreto, si rispecchia direttamente nella costituzione della mente umana. La distinzione tra l’intelligenza divina del Manas superiore e il raggio personale della stessa mente è difatti una differenza tra tipologie o classi di percezioni. Da una parte, si può decidere di guardare tutto passivamente, paragonando le cose e soffermandosi sulle differenze in modo ossessivo, stretti all’interno di una cornice spazio-temporale ristretta; dall’altra, si può uscire da questa cornice e guardare la stessa identica cosa da una prospettiva più ampia, sia in relazione al passato remoto oppure a ciò che potrebbe avvenire nel futuro prossimo, sia in relazione a ciò che è solo in apparenza vicino oppure lontano, ma anche in relazione a certe intime emozioni o convinzioni radicate, che fanno parte di noi in modo più profondo delle emozioni dominanti o idée fixe di qualsiasi particolare contesto.

 Poter cambiare prospettiva, espandere i propri orizzonti e acuire le percezioni sono tutte facoltà che derivano dalla capacità fondamentale di ideare, la quale insieme a quella di osservare, occupa incessantemente il Sé superiore nel suo nucleo più profondo. Questa verità fondamentale viene però offuscata nel momento in cui ci identifichiamo completamente con il sé inferiore, che partecipa e reagisce alle esperienze. Il raggio proiettato, che è a sua volta il prodotto e la prova del potere dell’ideazione, diventa permeabile alle influenze e alle forze esterne, che appaiono inevitabili poiché esercitano un’influenza sulle nostre emozioni e condizioni mentali e sugli stati d’animo persistenti. A causa di questo effetto sul nostro corpo astrale, di fatto messo alla prova da varie sollecitazioni, tale immersione nell’identificazione con i piani inferiori dell’ideazione altera la nostra vibrazione e vela con una patina tutto ciò che guardiamo, offuscando così la nostra vista.

 Tutto ciò rappresenta un obnubilamento del proprio vero Sé, in quanto risultato di un karma complesso. Ma, quando si inizia a riconoscere questa condizione e a capire ciò che ci si è causati da soli avendo ignorato la vera meditazione per molte incarnazioni, ci si può allontanare da questa dualità iniziale e cercare di intraprendere la pratica della vera meditazione sull’OM. La celebrazione dell’OM è il filo conduttore del sentiero spirituale ed è la quintessenza dell’ermetismo. Recitare inni di gloria all’OM è inoltre l’asse intorno al quale ruota tutta l’opera della Grande Loggia dei Mahatma ed è una celebrazione che si svolge tra quegli individui intrepidi disposti a dedicarsi alla meditazione, e che sono profondamente consci di ciò che il livello più alto dell’OM rappresenti. Esso è infatti quanto di più elevato si possa concepire. L’ininterrotto stato di meditazione del vero Sé è anche la risorsa suprema che sta alla base di tutta la meditazione e di CIÓ che è al di là di essa. È Nada Brahman, la risonanza divina che rappresenta le spoglie vibranti attraverso cui si irradia la sacra Luce del Logos non manifesto.

 Al suo livello più alto l’AUM è il Suono Silenzioso che diventa il mezzo di trasmissione della Luce Ineffabile. L’AUM è anche l’origine del suono nel mondo della manifestazione, la più sacra tra le sillabe, il primo ierofante di tutte le preghiere e le salmodie, il più importante oggetto di tutta la meditazione. Perciò lo si può concepire in due modi. Come singola sillaba pronunciata con un’unica articolazione esso è l’OM, il simbolo dello Spirito Supremo. Lo si può immaginare come un suono continuo e onnipresente, capace di essere in costante vibrazione all’interno del tempio consacrato della forma umana. Lo si percepisca inoltre sovrapposto a tutti gli altri suoni, a qualsiasi altra vibrazione, a tutti i pensieri ed emozioni e, così facendo, si contribuirà consapevolmente alla grandiosa vibrazione cosmica dell’Unica Risonanza, pur rimanendo all’interno della sfera e del tempio dei propri corpi invisibili. L’OM è lo Spirito Supremo, Ishvara, il Sommo.

 Se lo si considera invece come AUM, parola formata dalle tre lettere A, U ed M, tanto quanto dal fondamentale intervallo di silenzio, esso rappresenta tutte le trinità archetipiche e tutte le realtà triplici che si manifestano nella Tetraktis. Rappresenta i tre Veda e i Vedanta. Presuppone i tre stati primari della coscienza umana che, al livello più semplice, sono il risveglio, il sonno e il sonno profondo; include inoltre turiya, lo stato di supremo risveglio spirituale. Lo si può ricondurre alle tre divisioni dell’universo invocate nella Gayatri: bhur, il regno visibile e più materiale, bhuvah, che ne è la controparte interiore e invisibile, e svah, che è trascendente, eterea e celestiale in confronto a ciò che è astrale e fisico. Esso è essenzialmente la Trimurti, l’insieme delle tre divinità supreme Brahma, Vishnu e Shiva, i possenti agenti della creazione, della conservazione e della distruzione, i tre attributi principali dell’Unica Realtà Suprema, che è Sat-Chit-Ananda, la fusione di Verità, Ideazione e Beatitudine. In tal senso, l’AUM include il cosmo intero in quanto emanazione del Supremo Spirito che lo controlla, il Paramatman che è una pura e primigenia emanazione della Sostanza Divina, Parabrahman.

 A livello universale, para-cosmico e supremo, la Sacra Parola è sia l’Uno sia il Tre in Uno. Essa è l’OM, il singolo suono omogeneo che, sia esso pronunciato oppure no, rimane la vibrazione suprema, l’Unico Suono alla base di tutti gli altri. In quanto veste immacolata dell’unica Luce Logoica immanifesta, esso è la fonte di tutte le vibrazioni. Può essere concepito come l’AUM, uno e trino, poiché la natura di tutti gli individui, in quanto esseri umani, è sia una sia trina e li connette all’aspetto trinitario del cosmo, fatto di piano fisico, astrale ed etereo. L’AUM è inoltre relato ai tre aspetti o fasi interconnessi di quell’unica, singola attività continua che coinvolge la creazione, la conservazione, la distruzione e la rigenerazione. Così come è possibile postulare che il Divino è indipendente e precedente a tutti i mondi e all’universo stesso, così si può riscontrare il rispecchiamento del Divino nella Natura, nel cosmo, nel processo di manifestazione, sotto forma dell’AUM uno e trino, che è la fonte di tutte le molte variegate combinazioni, permutazioni, aggregazioni e associazioni di vibrazioni implicate su tutti i piani della vita. Distanziandosi volontariamente dal dualismo dei due sé, per avvicinarsi alle vibrazioni interrelate dei due AUM, che altro non sono che la stessa unica cosa, si può giungere alla comprensione di ciò che rimane immanifesto al di là della manifestazione, del sostrato alla base di ciò che è mutevole, e della permanente ed eterna fonte spirituale immanifesta della vita, della luce e dell’energia dietro alla danza cosmica del Divino. Il suo agire è perpetuo, in un'opera continua che si esprime attraverso un’immensa molteplicità, che da una parte compie una costante azione di selezione, cernita e riequilibrio, ma dall’altra incessantemente dissolve e distrugge le forme, riaffermando così senza posa l’essenza intima e imperitura della Vita.

Nella Maitrayana Brahmana Upanishad l’OM viene definito come:

 L’Udgitha, chiamato Pranava, il signore, lo splendente, colui che non dorme, libero dall’invecchiamento e dalla morte, colui che poggia su tre piedi, composto da tre lettere e parimenti da conoscersi come costituito da cinque parti, posto nel profondo del cuore.

 Esso è la finalità e lo scopo della più profonda e inconscia condizione di costante meditazione, ben al di là di tutti i corpi che prendiamo a prestito e delle nostre facoltà limitate, ed è tutt’uno con il Sé Superiore. In qualità di fervidi apprendisti della scienza della meditazione sull’AUM, nel momento in cui ci svegliamo, ci alziamo e ci dedichiamo ai nostri compiti quotidiani, possiamo cominciare la giornata pensando a esso in relazione all’alba della manifestazione. Poi, verso mezzogiorno, possiamo riportarvi la nostra attenzione, e poi di nuovo al tramonto e, infine, prima di andare a dormire. In questo modo si possono dedicare quattro momenti significativi della propria giornata, quattro preziose opportunità, alla celebrazione reiterata di ciò che è eterno e immortale, luminoso, incorporeo, indistruttibile, imperituro e invulnerabile, in quanto Sé intimo di ogni persona e, al contempo, di tutto ciò che esiste, ma anche in quanto CIÒ (TAT) che trascende il cosmo. Se ciò cui si aspira è l’adorazione dell’AUM, lo si veneri, si entri in comunione e si diventi tutt’uno con esso: quanto più si riesca a contemplarlo, a recitarlo, a sentirlo del tutto proprio e quanto più si riesce a pensarlo – fino al punto di perdersi nella percezione e nella contemplazione della sua natura – tanto meglio sarà per mantenere costante la propria meditazione.

 La Maitrayana Brahmana Upanishad fornisce ulteriori spunti di riflessione in merito all’oggetto dell’adorazione, specificando che:

 Al principio tutto era Brahman. Egli era unico e infinito [...] Il Sé Superiore non può essere determinato, Esso è illimitato, non nato, non può essere oggetto di speculazione né può essere concepito. È in qualsiasi luogo, come l’etere, e alla distruzione dell’Universo Lui solo rimane cosciente. Così, da quello stesso etere, Egli risveglia questo mondo, costituito esclusivamente di pensiero, mondo che è l’oggetto esclusivo della sua meditazione e che in lui viene dissolto.

 In altre parole, pensando al Sé superiore, si possono riunire le tre funzioni rappresentate da colui che medita, dall’oggetto su cui si medita e dall’atto stesso di meditare. Il Sé superiore è l’oggetto della meditazione, ma ne è a sua volta anche il soggetto che conferisce il potere di meditare. La sua essenza che si autosostenta è ciò che alimenta il potere della meditazione e il suo racchiudere in Sé sia il soggetto sia l’oggetto, sia l’attività della meditazione, secondo il modello del Tre-in-Uno, rappresenta l’intero universo invisibile e immanifesto, velato dal cosmo manifestato. Lo stesso si può dire di ogni essere umano. Quando si comincia, come nelle meravigliose canzoni del saggio poeta Namalvar, a concentrarsi su TAT, ovvero su tutto ciò che esiste, ci si immerge completamente in Lui. Non avrà più senso dire queste o quelle persone, questo o quell’uomo, questa o quella donna, perché Lui è tutto. Tutte le mani sono Sue mani, tutti i piedi sono Suoi piedi, tutti gli occhi sono Suoi occhi e tutte le menti sono la Sua mente. Tutto vibra e pulsa nell’AUM grazie all’unica imperitura, universale ed eterna Luce del Logos. Come dice l’Upanishad:

 Sua è la forma luminosa che brilla nel sole, e la luce multisfaccettata dentro al fuoco che non produce fumo…Colui che è nel sole, colui che è nel fuoco, colui che è nel cuore non sono che un’unica cosa. E chi conosce ciò diventa uno con l’Uno.

 La sola prerogativa, nonché privilegio più alto, dell’essere umano è di conoscere, celebrare e adorare il Sé Universale, di contemplarne sia la natura trina dentro e al di fuori di tutti i soggetti e gli oggetti sia tutte le loro interconnessioni. Conoscere quel Sé significa unirsi al tutto incessantemente, rimanendone tuttavia separati, distinti e sempre desti nella Notte della Non-Manifestazione, lontani dal grande trambusto della manifestazione.

Commentando questi passaggi dalla Maitrayana Brahmana Upanishad, W.Q. Judge afferma che:

 . . . ‘conoscere’ ciò non significa meramente comprenderne la descrizione ma di fatto farne conoscenza diretta attraverso l’esperienza interiore. E, per quanto sia difficile, è ciò che si deve ricercare. Il primo passo da compiere è il tentativo di realizzare la fratellanza universale, poiché quando ci si identifica con l’Uno, che è tutto, si ‘compartecipa alle anime di tutte le creature’; ed è quindi certo che il primo passo sia appunto quello della fratellanza universale.

The Path, maggio 1886

 Esperire l’ideale sfuggevole della fratellanza universale, in quanto reale e conscia compartecipazione alle anime di tutte le creature, significa esaminare a fondo quante più vite, considerandole come anime che frequentano la scuola dell’esperienza e vedendole tutte all’interno di un singolo pellegrinaggio universale. In un altro testo, Judge mette in evidenza la connessione intima tra l’entrare a far parte eticamente e psicologicamente del pellegrinaggio dell’Umanità e il velocizzarsi del potere della meditazione all’interno dell’anima risvegliata:

 Se tutte le azioni che compiamo, siano esse modeste o grandiose, saranno dirette in ogni momento al bene dell’intera razza umana, in quanto rappresentazione dello Spirito Supremo, allora sia ogni cellula e fibra del corpo sia l’uomo interiore verranno orientati in un’unica direzione, da cui risulterà una concentrazione perfetta.

Irish Theosophist, luglio 1883

 La fusione del pensiero, volontà e sensazione, della cognizione e della concentrazione, della volizione e dell’empatia, così cruciale per l’attivazione della vera potenza della meditazione, è virtualmente impossibile quando la si fonda sulla nozione nebulosa del sé personale. Ma, quando la si concepisce come solidarietà vivente di tutte le anime, di tutti i sé, di tutti gli esseri, in un unico pellegrinaggio universale, essa diventa positiva e senza sforzo, gioiosa e spontanea.

 Questo è il filo d’oro che ispira e sostiene l’autorigenerazione alchemica attraverso la meditazione, e che giace nel cuore del significato sacro della Gayatri, il più santo di tutti i mantra, che comincia con l’immortale AUM e finisce con l’eterno OM.

 L’oggetto di questa preghiera è che possiamo compiere il nostro intero dovere, dopo aver conosciuto la verità, mentre siamo in viaggio verso il tuo Sacro Seggio. Questo è il nostro pellegrinaggio, non di uno solo, non in modo egoistico, e non da soli, ma dell’intera umanità. Poiché il Sacro Seggio è dove tutto si incontra, il solo luogo in cui tutti sono uno. È il momento e il luogo in cui i tre grandiosi suoni della prima parola della preghiera si fondono in un unico suono senza suono. Questa è l’unica preghiera vera e propria, la sola aspirazione salvifica.

The Path, gennaio 1893

 Si può così ben vedere come la condizione di un’anima individuale che cerca di diventare tutt’uno con il Sé Superiore possa essere parimenti descritta dal punto di vista opposto. Lo stesso processo può infatti considerarsi al contrario, con il Sé universale che entra all’interno di un ricercatore ricettivo, il quale si abbandona pronto a essere pervaso ancor più profondamente in ogni propria cellula ed atomo. La Gayatri è un'invocazione rivolta al Vero Sole del Sé Superiore, affinché si riveli e illumini completamente l’intera essenza di ognuno. Questo elemento nascosto di grazia divina è vitale per le operazioni di consacrazione, preghiera e meditazione, poiché la determinazione di ognuno ad apprendere la verità include l’impavida accettazione dell’esistenza di ciò che la cela o la nasconde alla propria vista. Solo quando il raggio emanato si sottomette e si arrende al proprio genitore divino, ne può nascere un’aspirazione intensa, ardente e bramosa verso la Verità Suprema, l’unica Fonte, il sacro seggio del Fuoco sempre invisibile e imperituro, che è la sorgente di tutti i Fuochi Misterici, i quali bruciano incessantemente durante i manvantara e i pralaya, che l’intero universo non può modificare né tutta l’esistenza condizionata può alterare.

 Quando esso risulti inaccessibile, è a causa del karma generato da azioni passate, che hanno reso la sostanza cerebrale e le fibre del proprio essere troppo opache e fiacche per rispondere alle vibrazioni più alte. Essere invischiati in una vita di indifferenza noncurante e di ignoranza recalcitrante, incapaci di collaborare con i processi universali della Vita Divina, significa che in quella passata non si sono venerati i Grandi Misteri né si è collaborato con loro, ma ci si è accontentati di qualcosa di infimo e dozzinale, di un breve periodo illusorio di auto-adorazione. Una vita come questa crea una patina o un velo che allontana le nostre sensazioni da quelle degli altri e i nostri interessi da quelli del pellegrinaggio universale dell’umanità. Quando si fallisce nel custodire e prendersi cura della fiamma divina dentro di noi, si ricade in quella mutevole noncuranza che produce una passività endemica, che pone fine alla vera consapevolezza e ci getta nell’irresponsabilità e nel vagare senza meta dell’indulgenza verso se stessi, in balia degli alti e bassi del sé insicuro. Si diventa così ciechi e ci si autocondanna al vincolo di una profonda ignoranza della natura autodistruttiva di una tale esistenza contingente, dove il sacro potere della mente viene trascinato verso il basso e obbligato ad assoggettarsi alla schiavitù della coscienza al servizio dei sensi, delle distinzioni travisate tra l’interno e l’esterno, e anche di una concezione estremamente ristretta, effimera e irrealistica dello spazio e del tempo. Lungi dall’aiutare la personalità nella propria situazione disperata, lo sviluppo di tale mentalità ondivaga serve solo a nutrire le brame delle voglie insaziabili e ad attizzare i fuochi della molteplicità, che possono solo produrre una sorta di lente deformante che obnubila, confonde e oscura la luce della vera ragione, ostacolando così l’ascolto del Suono senza suono. Al massimo ciò che rimane sullo sfondo è una eco subliminale che può perseguitarci ma non certo curarci. Ed è così che tutto il karma del passato genera sia una forma di prigionia, sia l’incapacità di distinguere le illusioni come tali; pur tuttavia tale schiavitù viene mascherata attraverso una pseudo-oggettività pessimistica che, da una parte, sancisce la falsa cessazione dello stato di condizionamento della coscienza, dall’altra, la sconfortante immutabilità dello stato di asservimento all’illusione.

 Questo è il motivo per cui è fondamentale che, nel pieno dell’atto di adorazione, attraverso la Gayatri, l’anima emetta quel grido poderoso, che è un grido di libertà spirituale, ma che risulta inutile in punto di morte. Coloro che usano la Gayatri con costanza devono infatti liberarlo in quel momento o mai più; esso è un grido di chiarezza, che invoca la caduta del velo, la fine dell’auto-inganno e la cessazione dell’eclissi del proprio sé. Ed è per questo che prende corpo nella parola: “Rivela!” Judge, nel tradurre la Gayatri, ha deliberatamente fuso il suo reale significato con un potentissimo mantra della Isha Upanishad, creandone una versione efficace che permette di cogliere la pienezza della forza dell’invocazione:

 AUM. Rivela, o Tu che dai sostentamento all’Universo, da cui tutto procede e cui tutto deve tornare, quel volto del Vero Sole ora celato in un’urna di luce dorata, così che possiamo vedere la verità e portare a termine il nostro dovere nel viaggio al tuo sacro seggio. OM.

 L’urna di luce dorata è l’Hiranyagarbha, la sfera di Luce cosmica che avvolge il sacro Sole segreto che è la vera fonte di qualsiasi ispirazione, di qualsiasi ideazione e di tutta l’energia divina o sovra-mentale. Essa si riflette solo a un livello molto limitato nel sole fisico ed è ciò che le persone definiscono come la vita fisica o vitalità pranica o che chiamano anche luce. Questa, tuttavia, appare luminosa solo in contrasto all’oscurità fisica ed è illusoria solo se la si paragona con la Luce ineffabile dell’Oscurità Divina che è la natura essenziale del Logos manifestato. Mentre il sole fisico fornisce tutta l’energia che gli uomini comunemente colgono, quell’energia pervasiva deve necessariamente partecipare alla legge della conservazione e deve anche essere soggetta alla legge dell’entropia. L’ineffabile Luce del Logos, invece, è inesauribile e inestinguibile: essa può essere solo l’oggetto della sublime ideazione di un Manasa, un essere pensante immortale che può accendere la fiamma che costituisce una parte inestimabile del fuoco universale di Mahat.

 La Gayatri può essere estremamente potente se utilizzata regolarmente ogni giorno, ma risulta efficace solo se invocata a nome di tutti gli esseri viventi. Giorno dopo giorno, essa può acquisire sempre maggiore intensità se la si usa regolarmente come richiesta, preghiera, o per invocare la grazia che scaturisce dalle profondità dei cuori nascosti della razza umana. Poi diventa una forma di manifestazione capace di evocare e attivare la scala del sacrificio, lungo la quale viaggiano i Dhyani, i Deva e le Gerarchie superiori, che si muovono da un lato all’altro del grandioso ponte dell’arcobaleno invocato da tutti gli inni vedici. Essendo il Matriveda, la madre dei Veda, la Gayatri viene venerata in quanto mantra più elevato possibile, che permette a ogni essere umano di mettersi ardentemente in contatto con l’Unica Fonte a nome di tutta l’umanità. Ed è creando questo collegamento ripetute volte che si entra in armonia con ciò che più ci attrae e si familiarizza con la discesa della Luce Divina e con il diffondersi della sua grazia celeste.

 Se gli esseri umani cominciano a usare la Gayatri quotidianamente, quando ancora le loro intenzioni siano impure, correranno il rischio immenso di evocare forze cui non sapranno resistere o che non riusciranno a gestire e avranno bisogno della protezione ininterrotta dei Rishi e dei Mahatma, paragonati nella metafora delle Upanishad alle falde di un ombrello che offrono un riparo sicuro. Qualsiasi essere umano stringe il manico di questo ombrello, ma le singole falde appartengono all’Umanità intera, poiché rappresentano le gerarchie supreme di essere umani illuminati che sono strumento cosciente della Volontà Cosmica.

 Essi sono i supremi agenti divini dell’Unica Legge, l’Unica Vita e l’Unica Luce, e attraverso la loro compassione senza limiti riescono a proteggere e ad offrire opportunità agli esseri umani, i quali pagano le conseguenze di un evidente divario tra la loro levatura morale e la loro ambizione mentale, tra la loro forza spirituale e la loro energia emozionale, tra il loro desiderio di unione e la loro comunione con l’Uno. La compassione degli esseri umani ormai perfetti dona forza ai deboli e speranza a coloro che sono a volte in soggezione, intimoriti dall’enormità delle loro imprese.

 Tuttavia, sebbene il succitato ombrello metaforico fornisca una protezione certa all’aspirante ancora vittima potenziale dell’errore, gli esseri illuminati non possono farsi sostituti vicari dello sforzo di autocoscienza richiesto a ogni individuo che cerchi di mantenere costante la vibrazione della meditazione come misterioso filo conduttore della propria vita. Si deve anzi essere onesti e avere il coraggio morale di riconoscere quelle interruzioni nella propria pratica che sarebbero evitabili, e avere chiarezza nel distinguere le tendenze che ci rendono vulnerabili all’illusione attraverso gli apprezzamenti e le critiche, gli affetti ingannevoli e le false dipendenze. Si deve essere attenti a riconoscere gli scherzi beffardi che la memoria ci gioca, così come la perversa tendenza a utilizzare in maniera impropria il potere del pensiero per produrre logiche che non fanno altro che consolidare dentro di noi le discontinuità. Tutte queste cose finiscono col radicarcisi dentro, in quanto sono concessioni che facciamo a quella parte di noi che è dormiente, pigra, codarda, spaventata dalla Luce, timorosa di reggersi coerente e sicura per allontanarsi dalla massa inerte della maggior parte degli esseri. Prima di potersi dedicare totalmente alla meditazione e diventare così veri servitori dell’Umanità, ci si deve distanziare, in senso paolino, dal piano astrale e fisico, cioè senza segni esterni di connessioni servili con gli esseri umani. Si deve attraversare l’Isolamento dell’anima immortale, un periodo doloroso di ritiro dai veicoli inferiori. Solo in quel modo si può raggiungere il culmine della propria potenzialità, attingendo alla purissima fonte che si trova sopra alla testa e che, una volta toccata, accende la fiamma delle migliaia di centri latenti dentro di essa, il leggendario Albero della Luce, della Vita e dell’Elettricità Cosmica nell’Uomo.

 Molto prima che si possa raggiungere questo punto di svolta ci si deve assicurare di rendere regolare lo sforzo di meditare. Così si dice che, se all’inizio non si riesce a rendere i temi più astratti l’oggetto della propria meditazione, si deve cominciare meditando sulla meditazione stessa. Si mediti sui grandi Maestri della Meditazione, godendosi lo stesso pensiero dei Buddha di Contemplazione, esseri illuminati di luce propria, maestri di compassione da cui irradiano incessantemente correnti di energia caritatevole e benevola. E godendosi l’atto di meditare sulle schiere dei Dhyani o su quelle dei Mahatma ci si eleverà, ampliando i propri orizzonti e aumentando la concezione e il senso di appartenenza alla famiglia degli uomini. Sarà emozionante capire che questa include una così ampia gamma di esseri splendenti e il modo di vedere il mondo cambierà radicalmente.

 Poi, quando durante la meditazione si noterà la presenza di vari ostacoli, si sarà in grado di vederli per ciò che essi sono e si riconoscerà onestamente che la loro origine risiede nella dimenticanza, nell’indolenza e nella codardia. Contemporaneamente si comprenderà che la stessa abilità acquisita di allontanarsi da queste ombre è essa stessa radicata nel riconoscimento di quel principio onnisciente che tutto ricorda, sempre desto, coraggioso, libero, senza vincoli e universalmente autocosciente. Sebbene dunque si dovrà ripetutamente invocare il proprio Sé più profondo, si avvertirà una certa gioia crescere dentro di noi, un desiderio naturale che sgorga dall’amore profondo per quel Sé universale. Questa è la vera fonte di tutti gli altri tipi di amore nonché quella cosa che può in ultima istanza restituire un senso a tutti gli altri desideri altruistici di ciascuno di noi. È la sorgente dell’empatia che proviamo per tutto ciò che è vita, per tutti i regni della Natura, per ciò che si trova in ogni pietra, pianta o albero. È quella parte di noi che può entrare in risonanza con il sole all’alba, che può mettersi in sintonia con il sole al tramonto e che risponde all’invisibile Sole della Mezzanotte. Tutte espressioni velate di una corrente universale di energia più profonda, che è disposta al sacrificio e che è coscientemente emanata dai Maestri di Luce, Amore, Compassione e Saggezza.

 Nel momento in cui inizieranno a svilupparsi una gioia, una brama, un desiderio e un amore naturali per questa meditazione mistica, si scoprirà che essa agisce come un agente di rimozione. Molti dei nostri desideri inferiori semplicemente spariranno, la nostra vanità, l’autoinganno e la proiezione del nostro ego ma verranno messe in evidenza e anche del tutto svuotate. Tuttavia, ciò che di buono e vero c’era nel loro nucleo profondo non sarà mai perso, poiché è un’emanazione della fonte dell’amore universale che appartiene a Paramatman, il Sé universale. E se tale meditazione è reale, essa dovrebbe far nascere e consolidare la capacità di avere un unico scopo: essere determinati e risoluti, capaci di concentrarsi sul compito assegnato e di onorarlo per il bene di tutti. Liberandosi da tutti i risultati, diminuendo il proprio indugiare in pensieri fantasiosi, in aspettative e rimorsi, si diventerà più pienamente coinvolti, attivi e del tutto risvegliati. E così buona parte di ciò che prima sembrava costituire noi stessi verrà esteriorizzata, portata alla luce per poi svanire. Tutto verrà rivelato per quello che è, ovvero una maschera, un velo. E strato dopo strato, velo dopo velo la falsa identificazione sparirà e rimarrà solo l’unica ineffabile Luce, che è senza inizio e senza fine. È la Luce nascosta nell’Oscurità Divina, alla radice di tutti i mondi, gli esseri e le manifestazioni. È l’Unica Luce che soggiace a qualsiasi scintilla di ispirazione e ad ogni scintilla di verità, bellezza e bontà di qualunque essere esistente. È la Luce di cui parlò Gesù quando disse: “Se il tuo occhio è limpido, il tuo corpo sarà nella Luce” ed è la Luce di cui Krishna parla in termini di rivelazione all’interno di ognuno del Supremo Salvatore, che si rende visibile. Che ogni pellegrino impavido possa meditare su questa Luce che vive in ciascuno come Sé Superiore. Che ogni individuo devoto possa concentrarsi su di essa in adorazione, arrendendosi e concedendo tutto se stesso a quel travolgente Sé. E che ogni eroico ricercatore della verità imperitura possa agire affinché essa dimori in ogni cuore umano.

Raghavan Iyer
La Gupta Vidya III