IL MISTERO DELL'EGO


Se non percepiamo che siamo spiritualmente morti,
come possiamo anche solo sognare di invocare la vita?

        Claude de St. Martin

 La prova sicura che gli individui hanno iniziato l’ascesa verso i piani più elevati della coscienza è che in loro aumentano progressivamente la comunione di idee e la comprensione reciproca. L’ampiezza della visione mentale è sostenuta dalla profondità dei sentimenti più intimi. Le parole sono inadeguate a esprimere questo genere di consapevolezza. I mistici non riescono a comunicare facilmente l’ineffabile legame di mente e cuore, quello che talvolta è stato definito unione mistica. Tale linguaggio metaforico velato talvolta si riferisce a specifici centri di coscienza del corpo umano. Se il corpo è il tempio vivente di un’intelligenza divina imprigionata, il linguaggio metaforico dei mistici indica una sintonizzazione e attivazione di centri del corpo interconnessi. C’è un cuore mistico che ha una localizzazione e un funzionamento diverso da quello fisico. C’è anche un seme di intellezione superiore, più elevata, “il luogo in mezzo ai tuoi occhi”, che è diverso da quei centri del cervello coinvolti nell’attività mentale ordinaria. Più una persona è capace di mantenere la coscienza su un piano più vasto, in relazione al tempo e allo spazio, e più sottile della normale consapevolezza sensoriale, in relazione a causa e moto, in maggior misura questi centri superiori vengono attivati. Poiché questo non può avvenire senza che sorgano anche sentimenti più profondi, il significato originale del termine “filosofia” – amore della saggezza – è significativo ed evocativo. C’è un livello di energia, rilasciato dall’amore, che è legato a una profonda deferenza per la verità per Sé. Questa energia dona una maggiore capacità di sperimentare l’armonizzazione autoconsapevole con quello che sta dietro la fantasmagoria visibile dell’intera vita, portandoci più vicini non solo a ciò che è in gestazione sottotraccia, nelle radici nascoste dell’essere ma anche agli inespressi aneliti di tutti gli altri esseri umani. Ciascuno di noi percepisce questa familiarità, nei momenti critici. Talvolta, nel contesto di una tragedia condivisa o nei momenti di crisi causati da una catastrofe improvvisa, molte persone sperimentano un’autentica unione tra loro, seppur in assenza di segni tangibili.

 Portare in piena attività l’immaginazione creativa disciplinata e sviluppata è fare molto di più che avere semplicemente una consapevolezza passiva di momenti sporadici di umana solidarietà. Questi sono solo espressioni intermittenti, imperfette e imparziali di capacità più vaste dei regni del pensiero e del sentimento. Far emergere pienamente queste capacità richiede la rinuncia al supporto di tutto ciò che è restrittivo. L’Eros più elevato presuppone una specie di Eros negativo, un’astensione da un coinvolgimento emotivo esagerato nelle cose del mondo, dalle sensazioni e dagli oggetti dei sensi, in nome e forma, e dalle personalità sempre in cambiamento. Questa rinuncia è basata sul riconoscimento che le emozioni superficiali ingannano, diversamente dalla calma consapevolezza della realtà noumenica che è immanifesta. Comprendere ciò è prepararsi al rilascio potenziale dell’Eros più elevato, seppure questo sia davvero difficile, perché negare significa arrivare a un vuoto. Non c’è modo di rinunciare all’aria fritta delle emozioni psichiche e ai viluppi del ragionamento discorsivo senza sperimentare un’inquietante solitudine e un immenso vuoto nel quale tutto appare privo di significato. Sebbene dolorosa e perfino terrificante, questa è la condizione attraverso la quale il ricercatore deve necessariamente passare, se sta per morire, cosicché possa rinascere. La Voce del Silenzio insegna che “la mente abbisogna di larghezza, di profondità e di punti per attirarla verso l’Anima Diamante”. Essa deve generare attivamente questi legami mentali attraverso la meditazione profonda sulle sofferenze dell’umanità, considerando tutti gli sforzi individuali come parte di una ricerca collettiva dell’illuminazione, focalizzandosi compassionevolmente sulle sofferenze universali che trascendono, seppur includano, i dolori e le agonie di tutti gli esseri viventi.

 Quando una persona può collegare e coordinare tali periodi di meditazione deliberata e di coltivazione consapevole della compassione universale e sperimenta la vita ordinaria attraverso questi contatti con il regno del non-essere, allora la purificazione e il rinnovamento del tempio sono iniziati. Ci sarà una morìa per fame di interi aggregati di elementali, minute costellazioni di materia cui sono stati dati colorazioni torbide e impronte distruttive e che rappresentano la costituzione dell’astrale. Queste matrici di frustrazione, limitazione, rabbia e odio per se stessi vengono gradualmente rimpiazzate da nuovi agglomerati di energia vitale – prontamente disponibile in natura – che sono meglio in sintonia con le più alte concezioni astratte di spazio, tempo e moto. Pertanto, c’è una più grande incarnazione della natura divina interiore. Ogni corpo umano può essere visto come una croce mistica sopra la quale il Cristo interiore viene crocifisso. Nutrire il radicale rinnovamento delle vesti attraverso la mente concentrata e l’immaginazione disciplinata, forgiando connessioni tra i punti toccati nella meditazione e nella vita quotidiana, è rendere possibile, dopo il Getsemani reso necessario dal Karma collettivo, una più piena manifestazione del Cristo, il dio interiore. Questo lungo viaggio è coevo e corrispondente con l’intera vita e con tutto il genere umano. Quando le persone individuano, nella loro ricerca, una dimensione cosmica, l’impersonalità e l’altruismo, nel loro impegno, diventano affermazione autentica di ciò che è, in potenza, dentro ciascuno di noi. È impossibile che cresca la consapevolezza di ciò che si è veramente senza che si scopra come le barriere tra noi stessi e gli altri esseri si stiano assottigliando. Questa ricerca ha insita una sua integrità, e pertanto non ha senso fingere che, improvvisamente, semplicemente a parole, gesti e rituali si possa arrivare a provare un amore universale per tutta l’umanità. Naturalmente alcune persone disperate, attraverso droghe o con l’ausilio di altro, sperimentano qualche emozionante indizio delle meraviglie della vita o della sua unità. Tali esperienze però sono il risultato di un temporaneo allentamento delle viti di quel complesso organismo psicofisico chiamato corpo umano e non dovrebbero essere scambiate per vera saggezza. La differenza cruciale sta nella continuità.

 Più consciamente si è in grado di percepire la presenza universale del vero Sé, più si può mantenerne la continuità. Più si riesce a vedere il momento della morte e la sua connessione con il momento presente, più si può partecipare al nucleo non-manifesto della ricerca universale. Man mano che la capacità mistica di percepire l’Eros cosmico cresce, declina il desiderio di esprimerlo. Coloro che sono intrappolati nelle apparenze esteriori bramano i miracoli messianici e vogliono trattare l’universo come qualcosa da poter manipolare. Questa è una pietra d’inciampo, nella ricerca. La vera ricerca ha un’integrità che può essere testata continuamente perché deve dare come risultato una vitale dedizione verso il tutto. E proprio come è solo attraverso la cessazione delle evoluzioni ripetitive della mente inferiore che sorgono i pensieri più elevati, è solo attraverso la cessazione dei desideri limitanti che appartengono all’eterogeneo piano della percezione, che può liberarsi il vero Eros.

La Voce del Silenzio insegna: “Fuggi l'ignoranza, fuggi del pari l'illusione. Distogli il tuo sguardo dagli inganni del mondo; diffida dei tuoi sensi che sono bugiardi. Ma dentro il tuo corpo, tabernacolo delle tue sensazioni, cerca nell'impersonale ‘l'Uomo Eterno’ e, trovatolo, guarda all'interno: tu sei Buddha”. Sfortunatamente le persone dimenticano troppo spesso l’origine divina della coscienza umana e si lasciano intrappolare negli “inganni mondani”. Proprio come chi si trova in una stanza illuminata dalla luce artificiale dimentica quella del sole, la coscienza, qualora focalizzata scientemente sui regni esteriori, in una direzione univoca, esclude consapevolmente una percezione più ampia. Gli esseri umani si sostengono vicendevolmente nel definire reale solo la parte visibile dell’intera vita, ciò che viene attivato e mantenuto dalle parole, dai nomi e dai desideri che hanno criteri comuni di riconoscimento e che possono essere appagati sul piano degli eventi esteriori. D’altro canto, una persona che percepisce i raggi del Sole Spirituale tra le pieghe dell’oscurità del cielo di mezzanotte, si avvicina alla saggezza. Partecipare ai riflessi delle luci minori, ma con un’intima reverenza per l’oceano cosmico di luce, è vivere nel momento con una serena consapevolezza dell’eternità. La Dottrina Segreta suggerisce che ciò che viene chiamato luce è l’ombra illusoria e che oltre quello che normalmente definiamo luce e oscurità c’è una Oscurità noumenica che è eternamente radiante.

 Nel focalizzare la coscienza sul piano della differenziazione, il processo si frange in forme e colori, momenti di tempo, settori di spazio. Nel disperdersi della coscienza qualcosa rimane impigliato e causa inerzia mentale. Lo spirito cosmico può manifestarsi solo in e attraverso una matrice materiale, ma non può farlo senza la mente o senza quell’energia che favorisce la fusione della matrice e di ciò che è potenzialmente presente in spirito. Ecco perché, in tutte le discipline spirituali, il campo di battaglia è la mente. Il fatto che essa diventi duale è il prezzo pagato per l’autocoscienza e in questo prezzo stanno sia la limitazione di sé, sia quella di altri. Tale limitazione è rafforzata sia dai credo religiosi che accorciano l’età dell’uomo e della terra, sia dalle paure, limitanti, della morte e del decadimento, applicate non solo alle vite umane ma anche collettivamente, a una cultura. C’è un conseguente aumento dell’incapacità della coscienza di liberare se stessa dalle proprie identificazioni, paralizzate da un particolare aspetto del campo differenziato che è, nella migliore delle ipotesi, solo un velo steso sul ben più vasto processo della vita, nel cui vero nucleo sono presenti, potenzialmente, tutti i mondi. Oltre a un particolare campo differenziato giace latente, in uno stato pregenetico differenziato, un numero infinito di campi potenzialmente differenziati. Questo è il nucleo della realtà in quel regno del pensiero divino che chiamiamo Mahat, regno in cui dimorano i Mahatma, e che è anche nel cuore dell’Eros cosmico o Fohat.

 Se si esaminano le strutture collettive della società o un individuo all’interno di un nucleo familiare, si troveranno miriadi di modi in cui gli esseri umani si passano l’un l’altro ansietà e limitazioni. Non tutti gli uomini sono egualmente intrappolati né sono tutti preda dello stesso genere di illusioni. Alcuni individui sono incessantemente soggetti a vane aspettative di successo mondano. La loro esperienza è dolorosa e sembra che non imparino mai veramente qualcosa. Altri sperimentano reazioni violente e, proprio a causa del fatto che c’è così tanta violenza nelle loro reazioni, essi sono legati equamente ai punti estremi dell’oscillazione tra ottimismo e pessimismo. Altri ancora, nel lasciare aperte delle possibilità o negando, intuitivamente e inconsciamente, il loro coinvolgimento, sembrano essere tanto scaltri e sottili ma potrebbero non avere nessuna mappa metafisica a guidarli. Sono sempre pochi, dappertutto, quelli che ricordano la presenza della grande galassia di esseri che sono svegli durante la lunga notte della non-manifestazione. Questi, in modo pienamente cosciente, iniziano a tessere un qualche filo di consapevolezza e coloro che li conoscono fin da quando erano piccoli possono percepire con quanta calma si predispongano a mettere da parte le loro vesti mortali, alla fine. La loro è una bellissima riflessione autoconscia, sebbene ben presidiata e velata, nei veicoli inferiori e nelle orbite ordinarie dell’esistenza profana. Mentre gli altri esseri umani maledicono la vita e se stessi, questi eroici pionieri avanzano come se stessero costantemente progredendo, dentro di sé, verso ciò che conobbero presto, nella vita, e cui saranno fedeli fino alla fine.

 La differenza tra gli esseri umani ha a che fare con le vite precedenti e con il triste fatto che molti tra loro sembrano ripetere continuamente le stesse modalità nelle quali erano stati precedentemente intrappolati. Se consideriamo un periodo di evoluzione sufficientemente ampio, tutti gli uomini richiedono, in un certo senso, di essere dove sono, e hanno bisogno delle loro illusioni. Questo è vero metafisicamente e considerando l’evoluzione come un tutto. Ma secondo la legge dei cicli, in certi periodi della storia e in momenti cruciali del tempo presente, le persone arrivano a un bivio, a un momento in cui fare delle scelte. È come se percepissero che, se non fanno qualcosa, verranno lasciate indietro. Non si possono limitare quelle anime elevate che hanno del lavoro da compiere riguardo all’evoluzione umana, quelle che stanno piantando i semi per il raccolto futuro. Non ci si può aspettare che vengano trattenute da coloro che sono nati in quel momento sotto la legge del karma, anche se non desiderosi o non ancora pronti a inserirsi in quella posizione in una vita più vasta, alla quale fiduciosamente affermano sia loro diritto appartenere. Questo è parte del complesso processo del morire di una civiltà o di un’epoca e del concepimento di un nuovo ordine attraverso una lunga e dolorosa gestazione. In ultima analisi allora la frammentazione e l’intrappolamento della coscienza non possono essere compresi solamente in termini di interdipendenza tra esseri umani o di differenze tra persone legate dalle stesse illusioni e coloro che hanno il coraggio di infrangerle. La parte mancante in un tale resoconto è il confronto tra l’autocoscienza e il vuoto.

 Se, vita dopo vita, ogni volta la si inizia a negare e si incontra il vuoto, si fugge di nuovo verso il mondo, stabilendo un modello che non può essere sostenuto all’infinito. Supponiamo che un individuo di tal genere entri in contatto con esseri che sono passati attraverso il vuoto e hanno constatato che non c’è differenza tra il vuoto, loro stessi e tutti gli altri esseri. Tali Uomini di Meditazione non ospitano emozioni che siano più basse del livello dell’Eros cosmico e non generano nessuna corrente di pensiero salvo quelle nell’ambito di Mahat, la mente universale. Il contatto con tali esseri è una straordinaria opportunità ma anche un’immensa sfida, uno strumento di accelerazione. L’intero enigma dell’imprigionamento della coscienza, qualora trasferito dal piano generale a quello di una particolare persona, può essere risolto solo da questa. Le si possono fornire l’angolo prospettico e le mappe metafisiche ma ciascuna deve analizzare il perché è in una determinata condizione in termini di ricordi, sentimenti o idee. Mantenendo ben presente alla propria consapevolezza una concezione più ampia di qualsiasi visione abituale del sé, e con la garanzia che esistono coloro che sono stati in grado di risolvere per tutti ciò che gli individui trovano così difficile da risolvere per se stessi, ciascuno sarà aiutato. Alla fine tutti dovranno immergersi nella corrente e impegnarsi nello studio di se stessi, chiedendosi ancora e ancora: “Cos’è importante per me? Cosa sono pronto a lasciar andare? Ho il coraggio di morire e di rinascere?”. Una persona di buona volontà, senza perdere il senso delle proporzioni e l’umorismo, si riserva dei periodi in cui muovere specifici passi nella direzione che porta al Sentiero. Questo richiama l’attenzione su ciò che H.P. Blavatsky definiva il mistero dell’ego umano, il mistero di ciascun essere umano.

 Il bisogno di studiare se stessi porta direttamente alla scoperta del filo della continuità dell’individuo, il sutratman, che è presente in ognuno ed è solo un aspetto dell’essenza monadica di cui ciascuno è un raggio. È quello che fa di una persona una monade, un particolare essere o un individuo, separato solo nelle capacità funzionali di riflettere l’universale. Ogni persona è una lente unica, capace di rispecchiare autocoscientemente la luce universale. Pur se questa è l’essenza di tutti gli individui, quando sono in manifestazione, attraverso personalità legate a un nome e a una forma e coinvolte nel mondo della materia differenziata, essi si lasciano invischiare in una nebbia psichica che oscura la chiarezza della visione monadica sui veri mezzi e scopi del pellegrinaggio della vita. Eppure in quella nebbia rimane un riflesso residuale di ciò che la monade, nella sua pienezza, conosce, ciò che è dentro ogni essere umano e può essere chiamato filo d’oro sutratmico. Questo è attivato durante il sonno profondo mentre nello stato di veglia ciò non può essere fatto molto facilmente. Esso ha a che fare con il primo vagito del bambino alla nascita e si può scorgere al momento della morte. Può essere attivato autocoscientemente nella meditazione. Il vero significato sacrificale del Movimento Teosofico è quello di dare agli esseri umani, durante lo stato di veglia, dei punti di contatto con ciò che essi conoscono veramente solo durante il sonno profondo e farlo in un modo che ciascuno riceva la forza di una conferma collettiva. “Per vivere e cogliere esperienze la mente ha bisogno di vastità e profondità e punta a portarle verso l’Anima Diamante. Non cercarli nel regno di Maya”. Il filo d’oro può essere attivato, come base costante di luce, da ciascuno, solo individualmente. Ogni persona deve ripulire la mente, simile a uno specchio che raccoglie la polvere mentre riflette. Attraverso lo studio e l’attento esame di se stesso, ciascuno può mitigare l’oscurità derivata dal fatto che la luce del filo d’oro è frantumata in particolari, persa nelle apparenze, invischiata in determinati eventi, ricordi e con l’adempimento di desideri che producono stati psichici non reali. Ciascuno deve bandire da sé questa oscurità.

 Alla fine, comunque, non possiamo attivare quella corda d’oro, come la chiamava Platone, senza l’esaltazione dell’autotrascendenza. Paradossalmente, quando uno è veramente se stesso, si dimentica di sé. Essere serenamente impegnati nella manifestazione del filo d’oro significa aumentare la consapevolezza di tutti gli altri esseri e della vita intera. Lo studio di sé, allora, ha ulteriori profondità di significato. Quando una persona, in un periodo di vera contemplazione, ha una visione del Sé sutratmico, portata giù dall’alto, e che arricchisce la coscienza attraverso l’attivazione del pensiero divino, allora improvvisamente ci sarà un contraccolpo dato dall’opposizione del sé inferiore. E si scoprirà dolorosamente che la mente non può resistere per molto tempo su un livello sufficientemente astratto e impersonale e che il cuore non può sostenere continuamente la disperazione collettiva dell’umanità e portare amore a tutti gli esseri, ma si volge a preoccupazioni minori. Lo studio di se stessi diventa un modo per analizzare il sé inferiore con fermezza e onestà e con un pizzico di umorismo per la sua ridicolaggine, che è quella dell’impostore che esclude la ricchezza e le potenzialità del Sé. Il vero studio di sé prende la forma dell’esame di quei periodi dello stato di veglia in cui dimentichiamo, e pertanto neghiamo, il Sé. Lo studio di sé è un modo per minimizzare la propensione a dimenticare e il bisogno di troppi promemoria e, soprattutto, per salvaguardarsi contro la necessità di essere ammoniti, dal processo della vita, con una bacchettata sulle nocche. Scegliere i propri promemoria, piuttosto che ci vengano dall’esterno, significa cercare di bilanciare la proporzione tra i momenti di tempo ben spesi e quelli sprecati, dimentichi del filo d’oro. Tali occasioni perse costituiscono la tragedia della crocifissione del Cristo. Più ci accorgiamo che questo accade, più grande diventa la necessità di andare alla radice del problema. Lo studio di sé non può mai costituire uno schema, perché esso deve variare per ogni individuo, il quale potrà constatare che, sebbene gli sforzi ripetuti producano solo risultati limitati, ci possono essere momenti particolari in cui arriva un flash brillante e si riesce a vedere così tanto, della messinscena, da essere liberati. Ma qui non ci sono regole generali perché ciò implica l’interazione di variabili complesse e le emanazioni della coscienza nella vita di ogni uomo e pertanto costituisce parte del mistero dell’ego stesso.

 Come insegnato e dimostrato da Socrate, lo studio filosofico di sé durante la vita è parte integrante di una continua preparazione al momento della morte. Una fonte proficua per lo studio e la riflessione è La Bhagavad Gita. Robert Crosbie, nei suoi commenti all’ottavo capitolo, rammenta l’esistenza del pericolo che i frutti dell’impegno non riescano a giungere fino alla prossima vita. La misura della difficoltà di avvalersi veramente dell’insegnamento è identica a quella relativa al divenire immortali. Coloro per i quali l’insegnamento diventa una realtà sono in grado di invertire la falsa immagine del processo della vita data da maya e dai modelli di interazione di quelle persone che finiscono per ritenere reale ciò che è effimero, finito, falso. Esse sono in grado di rovesciarla così radicalmente da vedere con gli occhi della pietà e partecipare alle illusioni degli uomini con una costante consapevolezza interiore di Mahat e dell’Eros cosmico. Tali uomini manifestano una coscienza esistenziale dell’immortalità che va oltre ogni simbolo o segno, oltre le forme, le parole e i concetti. È tale coscienza che deve alla fine divenire la base di ciò che si pensa e pertanto di come si vive, ma ciascuno deve coltivarla indipendentemente. Sono pochi gli individui che raggiungeranno, prima del momento del trapasso, quel punto dell’esistenza in cui hanno ottenuto il potere di eliminare, a piacimento, la propria forma lunare. Dopo la morte, ogni essere umano si deve soffermare in uno stato in cui avviene la dissipazione purgatoriale della forma lunare fatta di quelle illusioni, paure e ansietà che sono state generate durante la vita. Tutte queste costituiscono la sostanza di ciò che le persone chiamano “vivere” e “il sé” e dissiparle in vita significa attraversare periodi in cui si può vedere attraverso se stessi. La maggior parte degli esseri umani è bloccata, in questo, perché ha sviluppato la tendenza a vedere attraverso gli altri più che attraverso se stessa.

 Sul Sentiero si considera tutto ciò che riguarda gli altri con adeguata compassione, compassione che può essere reale solo se basata sulla conoscenza acquisita dopo aver superato le medesime illusioni in se stessi. Uno deve prima costruirsi, nella vita quotidiana, una consapevolezza che nega le illusioni, vagliando e selezionando, in ogni esperienza, ciò che è davvero importante da ciò che non lo è. Finché questo non diventa una costante, non si è in grado di dissipare la forma lunare a comando, prima della morte ma, per coloro che hanno fatto questo, morire è come disfarsi dei vestiti. La vita, in senso ordinario, non ha presa su di loro e pertanto la loro venuta al mondo non è involontaria. Questo è molto difficile da comprendere per la maggior parte degli esseri umani. Mentre essi affrontano il doloroso processo dell’agire in una direzione, reagendo in un’altra, possono solo sperare di cancellare improvvisamente il passato, tramite qualche confessione o rituale ma, poiché ciò è impossibile, per loro la ruota della vita è straordinariamente dolorosa, monotona e senza significato. Essi continuano a essere riproiettati indietro, in esistenza, ripetendo le stesse oscillazioni dell’illusione. Questo è vividamente descritto da Platone nel mito di Er. In tal senso le persone ritenute convenzionalmente buone sceglievano la vita che invidiavano. Se la loro bontà è invischiata nelle apparenze, saranno fuorviati dalle trappole esteriori. Essere superiori al regno delle apparenze è riconoscere il vero nucleo della vita, vedere l’essenziale giustizia di tutte le cose e, per gestire tali percezioni, è necessaria una vera compassione. Dimostrare ciò autenticamente e continuamente significa essere in grado di negare senza posa il proprio sé e vedere quel sé come collegato con ogni altro essere, su ogni piano. Alla sua radice è niente, non è condizionato, non fa parte del processo, è oltre.

 Questo è un procedimento lungo e difficoltoso ma, dato il mistero dell’ego, le persone non sanno davvero perché hanno fallito nel passato, nel fare tali sforzi, e non hanno nessun diritto di scoraggiarsi anticipatamente. Esse ignorano che, attraverso quelli che sembrano piccoli passi fatti con integrità, possono accumulare grandi risultati. Talvolta i primi sinceri sforzi possono essere intrapresi davvero tardi nella vita. Fortunato è colui che inizia molto presto. Ma che sia presto o tardi, li si può verificare in relazione alla riduzione delle paure e ad una elevazione di tutti gli incontri con altri esseri. Il Movimento Teosofico cerca di massimizzare l’opportunità per gli esseri umani di guadagnare forza, supporto, ispirazione e istruzione, lavorando sul mantenimento della continuità conscia della consapevolezza. Questa li aiuta a sviluppare attenzione per le cose essenziali nella vita quotidiana e li mette in grado di distinguere l’eterno dal fuggevole e a non confondere il duraturo con l’effimero, a non scambiare apparenze e forme per realtà archetipali. Compiere tale esercizio ancora e ancora e farlo diventare un traguardo della vita meditativa è il solo modo costruttivo con cui ci si può preparare per il momento della morte. Ciò significa porre la faccenda in termini psicologici. Potremmo riferirci a questo anche in riferimento al suono che un essere umano può proferire al momento della morte, suono scelto solo in senso relativo, perché l’intera esistenza vissuta determinerà il pensiero e i sentimenti dominanti in quel momento e questi definiranno a loro volta il suono che verrà proferito nell’istante del trapasso. Il risultato della vita meditativa è riflesso nella particolare apertura, nel corpo umano, attraverso la quale si ritira la corrente vitale. Un saggio che osserva un cadavere vedrà immediatamente attraverso quale orifizio la vita se ne è andata e pertanto saprà davvero molto riguardo la coscienza di quell’anima.

 Come la tartaruga timida e attenta, gli esseri più saggi, durante la vita, concentrano tutte le proprie energie in ciò che è dentro e sopra di loro e, al momento della morte, vivranno un’esperienza gnostica sublime, che è un’affermazione di immortalità, una gioiosa liberazione dalla consapevolezza di tutti i condizionamenti. Essi ora sono in grado di sperimentare non solo aneliti immortali ma, attraverso la continuità dell’Eros cosmico incondizionato e della consapevolezza incondizionata di Mahat, sperimentano anche la libertà spirituale. Questo distacco può sembrare talvolta austero, ma è accompagnato da un’inesauribile compassione e da un’immensa vitalità. Se conducono una vita retta, senza farsi coinvolgere nel processo, ogni fardello risulta loro leggero. Essi si spogliano costantemente, tanto quanto altri uomini si immiseriscono nei giardini dell’illusione. Essi costantemente proferiscono, per tutti, l’invocazione upanishadica: “Dall’irreale conducimi al reale. Dalle tenebre conducimi alla luce. Dalla morte conducimi all’immortalità”. Quando una persona può fare un’intima asserzione positiva del Divino interiore, essa diviene una potente corrente di pensiero e sentimenti, energia e vita. Senza bisogno di parole, tutte le sue azioni comunicheranno agli altri il senso che dietro i giochi della vita c’è una più profonda realtà di pura gioia, in cui c’è dignità per ciascun individuo. Come preparazione preliminare per aprirsi a tale invocazione, ogni notte, prima di andare a dormire si dovrebbe rinunciare alle identificazioni con il corpo e con il cervello, con la forma, con tutto ciò che piace o non piace, con tutti i ricordi e le aspettative. Lo stesso dovrebbe essere fatto al mattino, tanto quanto in altri momenti scelti durante la giornata e, spontaneamente, ogni qualvolta possibile. E, se sarà piena di significato nel contesto di un universo governato dall’ideazione illimitata di Mahat e soffusa della benevolenza dell’Eros cosmico, tale invocazione deve essere rivolta non solo verso se stessi ma verso tutti.

Raghavan Iyer
La Gupta Vidya II